L’anno scorso ad ottobre la Giunta ha chiesto al Consiglio Comunale di autorizzare la vendita del 2,5% del capitale di IREN S.p.A. Lo stesso ha fatto Torino.
Le motivazioni, illustrate dall’Assessore al Bilancio, erano le seguenti: “Si tratta di cedere azioni che non sono rilevanti per il controllo strategico della società, che sono libere, che non fanno venir meno il ruolo dei soci pubblici, e non fanno venir meno il ruolo del Comune di Genova. Il peso specifico del Comune di Genova a seguito dell’operazione di cessione non cambierà: la governance si esprime indipendentemente dalle quote di azionariato. L’urgenza della delibera è legata al fatto che abbiamo tutta una seria di emergenze per la situazione in cui abbiamo trovato l’amministrazione e dobbiamo prendere decisioni.”
Il Sindaco aggiunge: “Con i 60 milioni che ricaveremo, finanzieremo il prolungamento della metropolitana”.
Il 10 ottobre 2017 il Consiglio approva la proposta, con il nostro voto contrario.
Ma da quel giorno non succede più niente. Passa un anno e il Comune non vende.
Fino a che lunedì mattina, la Giunta torna in Commissione e annuncia: abbiamo cambiato idea. Invece di vendere vogliamo comprare. E accendiamo un mutuo per comprare il 2,5% di azioni che vende Torino per un controvalore di 66 milioni di euro.
Le motivazioni sono l’opposto di quelle del 2017: Genova deve comprare azioni per avere un ruolo più forte in Iren. La delibera è urgente, in 24 ore bisogna andare in Consiglio.
Poi ieri notte apprendiamo che FCT, la finanziaria del Comune di Torino, che doveva venderci le azioni ha preferito venderle ad altri. Anzi le ha proprio già vendute. Senza dire nulla al suo socio genovese, che lo ha saputo da un comunicato stampa.
Una figuraccia colossale. Ma la Giunta non si scompone: “compriamo lo stesso, compreremo sul mercato”. E oggi in Consiglio ha insistito con la delibera che prevede indebitamento per rastrellare azioni sul mercato.
E quindi il Comune (forse) si indebiterà per comprare azioni IREN rastrellandole sul mercato, mentre i nostri soci torinesi non hanno voluto venderle a noi.
E’ questo il dato più preoccupante. Non è solo il numero di azioni che determina la governance, ma quando si ha circa il 17% di una società anche il rapporto di fiducia con gli altri soci.
E da oggi ne abbiamo certezza: questa fiducia non c’è. E le conseguenze rischiano di pagarle i lavoratori e i cittadini utenti.
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