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L'intervista che mi ha fatto Marco Ansaldo sull'edizione genovese di Repubblica del 21 marzo.

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«Quando entravamo in una fabbrica, sentivamo che non c'era più fiducia. Spesso venivamo guardati con sospetto. O, peggio, notavamo come alcuni rappresentanti sindacali avessero un rapporto più diretto con la Lega o i Cinque stelle. Questo è il segno di una frattura che è avvenuta. E non si può fare finta di nulla, no? Perciò, quando Nicola Zingaretti dice “cambiamo tutto”, penso che davvero occorra farlo. Fino in fondo».

Alessandro Terrile, 39 anni, consigliere comunale ora nuovo esponente fra i sei liguri appena eletti nella Direzione del Pd, è tornato da Roma con molto entusiasmo, una brillante cravatta con piccoli animali disegnati, e in tasca un'analisi impietosa sulla sconfitta del centro sinistra.

«Il segretario ha fatto un intervento molto denso e, a mio avviso, coraggioso. Toccando dei punti centrali, con grande autocritica, perché il vero problema di questi ultimi dieci anni è il posizionamento del Pd, che non si è occupato come avrebbe dovuto del tema della crescita delle diseguaglianze. Cioè noi siamo stati percepiti, nella migliore delle ipotesi, come disinteressati al problema di chi soffriva la crisi. E nella peggiore delle ipotesi addirittura come compiici dei poteri forti, nella propaganda dei Cinque stelle che, però, faceva presa. Questo è un tema fondamentale».

Declinato su Genova?
«Purtroppo Genova ha problemi legati alle infrastrutture. Faccio un esempio: tra i delegati del partito quelli che hanno più difficoltà a raggiungere Roma, in Italia siamo proprio noi, se escludiamo le isole da dove prendono l'aereo. Perché persino da Bolzano e da Foggia ci mettono meno tempo. Fra le città metropolitane Genova sta pagando il costo più caro della crisi».

E' evidente che un po' di analisi va fatta.
«Non tutto è stato fatto male. Il Pd, a livello nazionale e a livello locale, ha cercato di trovare rimedi alla crisi, ma non l'ha considerato una priorità. E l'errore più grave forse è stato questo. La prova provata è che se avessimo avuto percezione di quanto fosse grande la forbice che si stava creando tra noi e il nostro elettorato, allora avremmo messo in campo prima misure come quella del reddito di inclusione, non avremmo rotto con il sindacato e con tanta parte del mondo della sinistra. Dando così spazio all'illusione delle false promesse di Cinque Stelle e Lega».

Questo per il passato. Adesso?
«Credo che se Zingaretti farà quello che dice, saremo già su una buonissima strada. Sia sul posizionamento del partito, sia sulle questioni operative. Renzi ha avuto un'agenda anche ampia, ma non si è preoccupato di un popolo che potesse condividere e difendere quelle riforme».

Dove furono fatti che anche la Liguria sconta?
«Ad esempio nella scuola. Quando tu hai risorse per stabilizzare 100 mila precari, dopo anni di concorsi e cambi di regime, e in quel mondo perdi una buona parte del consenso elettorale, allora vuoi dire che qualcosa si è rotto».

E in questo non c'è una responsabilità del Pd?
«Certamente. Perché se non hai un popolo che difende il partito, o delle strutture anche intermedie che creano discussioni, che portano coinvolgimento, tu puoi avere tutti i numeri in Parlamento, ma prima o poi la reazione arriva».

E allora la sua proposta per Genova qual è?
«Vale tanto per la maggioranza quanto per l'opposizione: bisogna far presto a ricostruire il ponte, ma non considerare il ponte come un alibi per tutto quello che non va. Perché sarebbe come un modo per nascondere la polvere sotto il tappeto. Genova invece ha dei problemi che deve guardare in faccia, cercando di risolverli».

E il Pd che cosa deve fare per cambiare?
«Creare le condizioni per portare energie nuove. Chiediamo agli elettori di ricostruire il partito assieme a noi. Non possiamo pensare che possa essere solo il gruppo dirigente a farlo»

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