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UNA QUESTIONE MORALE

Esiste una gigantesca questione morale nel PD. Fare finta di niente non ci porterà da nessuna parte, se non verso l’abisso.

Quanto è emerso in questi giorni sulla vicenda CSM è di una gravità sconcertante, per l’uso disinvolto del potere, per la confusione dei ruoli, per l’arroganza becera che traspare nelle conversazioni tra deputati e magistrati, per il qualunquismo di chi si difende dicendo “lo fanno tutti”.

Non imbrogliamo le carte. Questa storia non c’entra nulla con l’auspicabile riforma del CSM o con l’altrettanto auspicabile superamento delle correnti nella magistratura.

Ma soprattutto chi, poco più di un anno fa, ha assicurato un seggio parlamentare al capo di una corrente delle toghe non si permetta oggi di raccontarci la favola del superamento delle correnti.

Perché se ci vogliamo dire la verità, questa è una vicenda che parte da lontano e che si fonda su un disegno politico preciso: un’alleanza tra l’ex gruppo dirigente del PD e Magistratura indipendente, la corrente di destra dell’ANM.

E’ quest’alleanza che porta Cosimo Ferri, sottosegretario alla giustizia nel governo Letta in quota Forza Italia ad avvicinarsi progressivamente al PD, fino a conquistare a sorpresa la candidatura alla Camera da capolista in Toscana nel 2018.
In quella notte in cui decine di nostri deputati e senatori sono stati depennati da Renzi e Lotti senza neppure una telefonata, invece ce l’ha fatta Ferri che al PD nessuno aveva mai visto.

E’ quest’alleanza che contro ogni previsione, porta l’unico membro laico del PD, David Ermini, alla vicepresidenza del CSM con i voti favorevoli di Magistratura Indipendente e i voti contrari di Magistratura Democratica e di tutti gli altri membri eletti dal Parlamento.

L’incontro notturno in albergo tra i due deputati protagonisti di quell’alleanza e cinque consiglieri del CSM è solo la chiusura del cerchio.

Quale fosse la posta in gioco lo scrive il Procuratore generale della Cassazione, il più alto magistrato inquirente del Paese, motivando l’azione disciplinare avviata contro i magistrati che hanno preso parte all’incontro notturno: “si è determinato l’oggettivo risultato che la volontà di un imputato abbia contribuito alla scelta del futuro dirigente dell’ufficio di procura deputato a sostenere l’accusa nei suoi confronti”.

Se il disegno non è riuscito è perché la magistratura ha la schiena più dritta di quanto immaginava chi ha puntato sul correntismo per portare a casa un risultato, e anche perché alla vicepresidenza del CSM è andato un galantuomo come David Ermini, che a Palazzo dei Marescialli ha difeso solo la magistratura e la Costituzione, tanto da attirarsi le ire di chi aveva costruito la sua candidatura.

Il punto non è se gli onorevoli Cosimo Ferri e Luca Lotti abbiano commesso dei reati.
Ma se quelle condotte siano opportune e compatibili con il ruolo pubblico che rivestono.

Esistono condotte perfettamente lecite che sono politicamente indecenti e che non accetteremmo mai fossero praticate da nostri compagni.

Non è reato fare eleggere i propri avvocati in Parlamento e mandarli in commissione giustizia a modificare i codici per evitare o mitigare le condanne. Eppure per vent’anni abbiamo giustamente criticato Berlusconi che faceva uso di quell’indegno stratagemma.

Non c’entra nulla il codice penale. E’ tutta morale e politica la questione.
E la politica deve affrontarla con parole chiare e con giudizi netti.

Ha fatto bene Zingaretti a dire che il PD non ha incaricato nessuno di occuparsi delle nomine nelle procure.

Ora, chi ha sbagliato la smetta di invocare complotti e la smetta di dire che lo fanno tutti, perché non è vero.

C’è una comunità di donne e uomini democratici che fa politica per bene che si è sentita offesa da comportamenti incompatibili con i nostri valori e con la nostra storia.
Ed è ancora più offesa dal maldestro tentativo di venire trascinata nel fango da chi semplicemente farebbe meglio a chiedere scusa.

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