E’ un misto di dolore e di speranza il sentimento che ha accompagnato molti di noi nel vedere precipitare le due pile strallate del Morandi.
La mente corre a quel 14 agosto, all’incredulità dei primi minuti, e poi allo strazio, al dolore, ai lutti.
Ma il nuovo orizzonte della Vapolcevera è in qualche modo la metafora di una nuova prospettiva per la città, una chiusura con il passato, la speranza per un futuro da costruire.
C’è moltissimo lavoro ancora da fare. Il primo grande interrogativo è il destino delle 40.000 tonnellate di macerie. L’idea di lasciarle sul posto, adeguatamente triturate e spalmate, mi sembra una proposta incompatibile con il desiderio e il bisogno di rinascita che salgono da quei luoghi.
L’implosione del Morandi è una bella notizia per Genova, ed è il frutto del lavoro silenzioso di centinaia di tecnici della struttura commissariale, delle imprese demolitrici, delle forze armate e degli enti locali.
Ora si vada avanti a completare la ricostruzione, con tanto lavoro quotidiano e con un po’ meno passerelle e cerimonie.
La speranza per il futuro non ha bisogno di vuoti trionfalismi: quando riavrà il suo ponte Genova avrà ritrovato semplicemente la sua normalità.
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