Genova ha ritrovato il suo ponte. Ed è una bella notizia, per la città e per il Paese. Il merito va agli oltre mille lavoratori, alle aziende impegnate nella demolizione e nella ricostruzione, al Governo che ha messo a disposizione strumenti efficaci e al Commissario Bucci che ha saputo utilizzarli.
La pioggia battente e l’arcobaleno di lunedì scorso fotografano il sentimento contrastante con cui i genovesi hanno partecipato all’inaugurazione del nuovo viadotto.
Perché, per usare le parole di Renzo Piano, oltre il ponte c’è una città sospesa tra l’orgoglio per aver ricongiunto le due sponde della Val Polcevera e il cordoglio per le 43 vittime di una tragedia ancora senza colpevoli.
Perché la Genova ricongiunta dal Viadotto San Giorgio è una città diversa da quella che passava sul Ponte Morandi.
E’ una città più piccola e più povera, in cui prima del Covid gli unici numeri con segno più erano legati al turismo e in particolare e alle crociere.
Una città che ha una profonda necessità di ripensare sé stessa, anche alla luce dei dati pubblicati ieri da Confindustria. Nel primo semestre 2020, il fatturato delle aziende turistiche è crollato del 50%. Le presenze turistiche sono crollate del 91%, i passeggeri delle crociere dell’82,9%, il traffico aereo del 73,5%.
La movimentazione del porto di Genova è diminuita del 18,3% rispetto all'anno precedente. Il fatturato del settore logistico è calato in media tra il 14% e il 18%. La produzione industriale del 16,9%.
Una città in cui nonostante tre anni di annunci, i nodi strutturali sono ancora tutti da sciogliere, a partire dalla qualità dei servizi pubblici erogati dal Comune. Dal trasporto pubblico che condanna i pendolari a disagi inaccettabili, alla raccolta dei rifiuti con cassonetti strabordanti come non li avevamo mai visti, alle manutenzioni carenti e raffazzonate anche perché di fatto sottratte alla vigilanza dei Municipi.
Una città che fatica a produrre cultura (i visitatori paganti di Palazzo Ducale nel 2019 sono scesi a 156mila dai 313mila del 2016), che spende 12 milioni di Euro per una regata che forse nemmeno si farà, e che non riesce a dare senso ai beni pubblici se non privatizzandoli come la Marinella di Nervi, l’ex Mercato del Pesce o il Mercato del Carmine.
Oltre il ponte, c’è una Genova che arranca. Per affrontare la più grande crisi dal dopoguerra ha bisogno di qualcosa di più di uno slogan e due parole in inglese.
Anche perché i numeri sono lì a dirci che in questi tre anni non sono bastati.
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