Domenica e lunedì si vota per confermare la riforma costituzionale che consiste nella riduzione del numero dei parlamentati di circa un terzo.
Ho riflettuto a lungo e mi sono convinto che le ragioni del NO prevalgono su quelle del SI.
Non sono contrario ad una riduzione dei parlamentari, ma il semplice taglio lineare senza un preventivo accordo sulla legge elettorale e sulla riforma dei regolamenti di Camera e Senato costituisce un salto nel buio, e solleva dubbi che mi paiono fondati sulla effettiva efficienza del nuovo Parlamento e sulla rappresentanza specialmente delle regioni più piccole, come la nostra.
C’è poi un argomento politico. La modifica sembra ispirata più dal vento dell’antipolitica che dalla effettiva necessità di riforma. Dieci anni di quel vento hanno portato nel nostro Paese ad una politica peggiore, meno vicina ai cittadini. L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, l’abolizione delle province, la riduzione del numero dei consiglieri comunali, hanno portato a risparmi irrisori e hanno mutato in peggio il rapporto tra eletti ed elettori.
E’ una riflessione che chi crede nella buona politica dovrebbe avere il coraggio di fare, nel profondo, in concreto, e a viso aperto, anche se vincesse il SI. E che dovrebbe iniziare dal nostro linguaggio: i parlamentari sono i rappresentanti della Nazione (art. 67) e non “quasi mille pigiabottoni” come ho sentito dire in una recente tribuna politica.
Non è un voto contro il Governo, e neppure un voto contro Nicola Zingaretti a cui va riconosciuta la coerenza di avere chiesto al PD di votare al referendum nello stesso modo in cui i nostri parlamentari hanno votato l’ultima lettura della riforma.
Intendiamoci, se vincerà il SI la democrazia non sarà in pericolo. Ma voterò NO, esprimendo un voto libero e ponderato, come deve essere ogni voto che riforma la nostra Costituzione.
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