La Genova che esce dall’emergenza sanitaria è una città più piccola e più fragile.
Per tutte le grandi città la ripartenza è occasione di una profonda riflessione sui punti di forza e di debolezza, per comprendere come la pandemia ha cambiato il nostro vivere e quindi come cambierà per lungo tempo gli spazi urbani, per immaginare un nuovo sviluppo e orientare in quel senso le ingenti risorse pubbliche che sono in arrivo.
Penso a Milano che sposta interi uffici pubblici in periferia, o a Tokio che pianifica in collaborazione con le grandi aziende veri propri cluster di quartiere in cui assicurare servizi di qualità (abitazioni, mobilità sostenibile, connessione, spazi di co-working) per tutti quei lavoratori che continueranno a lavorare da remoto.
Da ogni crisi si esce ripensandosi. Succede dovunque nel mondo.
Non a Genova. Dove le ricette sanno di antico e di inesorabilmente superato. E si riprende da dove eravamo rimasti, con il count-down a DeFerrari per festeggiare la fine del coprifuoco, e con tanti supermercati.
Ogni settimana, ormai, tra commissione urbanistica e consiglio comunale esaminiamo la pratica di insediamento di un nuovo punto vendita della grande distribuzione, che spesso prevede la modifica delle norme di pianificazione, o perfino la dismissione di patrimonio pubblico.
Ogni progetto di rigenerazione urbana portato avanti dalla Giunta Bucci prevede un centro commerciale o un supermercato. Come se quella fosse l’unica leva di sviluppo.
I casi non si contano più: Palasport, Hennebique, ex Mercato di Corso Sardegna, ex Mercato di Piazza Cavour, Via Piave, San Benigno, Champagnat, Campi sportivi salesiani di Via Carrara, Piscina di Nervi in area Campostano, ex Mira Lanza, Rotonda di Carignano.
Le dure parole di questi giorni dei Presidenti di ASCOM e di Confesercenti colgono il punto: “rigenerazione urbana non vuol dire supermercati” e ancora “una città come Genova non regge un’offerta commerciale come quella che si sta portando avanti. Così si uccide il tessuto commerciale esistente, si snatura la città, si perde occupazione".
Nessuno chiede al Comune di pianificare l’economia o il mercato. Basterebbe evitare la serie di deroghe, varianti e aggiramenti di norme cui stiamo assistendo per consentire l’apertura nuovi punti vendita in ogni dove.
Il Sindaco parla spesso di attrattività della nostra città per le nuove imprese, di un elenco di aziende produttive pronte a insediarsi e ad assumere, ma nei fatti si finisce sempre lì: supermercati.
Abbiamo bisogno di un altro modello di sviluppo, che coniughi logistica e alta tecnologia, produzione industriale e artigianato, turismo e qualità della vita. Ma non ci riusciremo con la Giunta dei supermercati.
Attenzione! Alessandro Terrile utilizza cookie a scopi funzionali e analitici per migliorare la tua esperienza di navigazione. Proseguendo la navigazione acconsenti all'uso dei cookie. Per maggiori informazioni, leggi l'informativa sui cookies.