La cabina telefonica di Piazza Vittorio Veneto, a Sampierdarena, è stata rimossa. Fin qui nulla di strano. Ognuno ha in tasca un telefonino e i telefoni pubblici sono meno necessari.
L’uso del telefono, però, c’entra poco con le ragioni per cui il Comune ha chiesto e ottenuto la rimozione della cabina.
Comincia tutto martedì in Consiglio Comunale con un’interrogazione della Lega che chiede all’assessore competente di attivarsi per rimuovere le cabine telefoniche “utilizzate come giacigli H24 da sbandati e senza tetto in tutta la città”, che “sono punti di degrado e di fetore”, sottolineando che “quella di Piazza Vittorio Veneto né è l’esempio più eclatante”. L’interrogazione conclude: “Occorre attivarsi per eliminarle tutte o chiedere di sostituirle con telefoni pubblici a muro privi di cabina”.
Risponde l’assessore al patrimonio, sempre della Lega, che riferisce di avere già scritto a Telecom Italia segnalando il degrado della cabina di Piazza Vittorio Veneto e chiedendo la rimozione della stessa.
Giovedì mattina, con efficiente puntualità, la cabina viene smontata e messa su un furgone.
Quando si avvicina l’inverno e fa più freddo le amministrazioni pubbliche si fanno carico dei senza tetto. Allestiscono dormitori, attivano i servizi sociali, verificano se è in crescita il fenomeno di chi è costretto a vivere in strada. E magari si chiedono il perché.
Non a Genova. Se un senza tetto dorme in una cabina, perché non ha trovato di meglio, gli smontiamo la cabina.
Eppure, in tutto il mondo le amministrazioni pubbliche gestiscono l’emergenza freddo e si prendono carico dei clochard, senza necessariamente smontare tutte le cabine telefoniche.
Forse perché si fanno carico della questione, e attivano soluzioni un filo più complesse di un furgone e di un cacciavite.
E’ una differenza culturale, politica e valoriale. Un clochard che dorme in una cabina non è un solo problema di decoro o di fetore.
E’ innanzitutto un problema sociale, che interpella il dovere di intervento di ogni amministratore per rimuovere le cause dell’emarginazione piuttosto che il giaciglio dell’emarginato.
Per riconoscerlo, evidentemente, non è bastato ai consiglieri e agli assessori della Lega agitare il rosario in campagna elettorale o appendere il crocifisso in sala rossa.
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