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RIMETTIAMOCI IN DISCUSSIONE
(riflessione non sintetica)

Si sono svolte lunedì 19 e martedì 20 le Direzioni del PD genovese e ligure, le prime dopo la sconfitta del 4 marzo.
I numerosi interventi, in un clima di confronto appassionato, mi fanno sperare nella capacità di rimetterci in discussione.

Spero davvero si possa aprire una discussione vera e profonda. Non è il momento di cercare né alibi né colpevoli. Matteo Renzi ha le maggiori responsabilità per averci portato fino a qui. Ma gli errori sono diffusi e in parte vengono da lontano.

Con le regole che ha il PD, dubito che possa essere un Congresso (e quindi la chiamata ai gazebo delle primarie) lo strumento che ci aiuta a capire fino in fondo i nostri errori, le complessità del momento storico, e soprattutto l’agenda politica per il domani.

Dobbiamo trovare delle modalità per consentire una discussione ad ogni livello, possibilmente non riservata agli addetti ai lavori, perché in gioco c’è l’identità del PD, le risposte che un partito di sinistra può e deve dare dinanzi ai cambiamenti portati dalla globalizzazione, dalla crisi economica, dai fenomeni migratori, dall'innovazione dei processi produttivi.

Maurizio Martina ha parlato di una commissione di progetto. Altri di fase costituente. Mi interessa poco il nome, mi interessa farla questa discussione. E in fretta. Perché il tempo in politica è determinante.

Anzi. Forse avremmo fatto meglio a discutere nel profondo già dopo il referendum costituzionale. Quelle che mi appaiono come le due grandi ragioni della sconfitta: il nostro isolamento politico e la sottovalutazione del disagio economico e sociale del Paese sono stati già alla base del risultato del 4 dicembre. Oggi paghiamo il prezzo anche di aver messo quella polvere sotto il tappeto.

Dovremo partire dal rispondere a domande non più scontate. La prima è: chi vogliamo rappresentare?

Non sarà una discussione semplice. E potrà essere dolorosa, perfino violenta. Perché si scontreranno idee diverse di PD. Ci sarà chi teorizzerà un PD alla “en marche” che si rivolge al voto moderato degli inclusi, convintamente europeisti, che in Italia dopo il 4 marzo sono orfani dei partiti di centro. Ci sarà chi dirà che il PD è finito, che l’amalgama non ha funzionato, e che i tempi indicano la necessità di due nuovi partiti: l’uno di centro, l’altro di sinistra. Ci sarà chi dirà – e sarò tra questi – che il PD deve fare quello per cui è stato fondato, parlare ai meriti e ai bisogni con parole del tutto nuove, diventando protagonista di una nuova cultura di cittadinanza. Spero saranno pochi quelli che vorranno semplicemente tornare indietro, a vecchi schemi e vecchi modelli, in una nostalgia che richiama successi del passato ma che non ci consente di interpretare il futuro.

Il popolo di sinistra non è sparito. Ho impressione che ci guardi, deluso e arrabbiato, ma con attenzione. Molto dipenderà da noi. Se vogliamo raccogliere il frutto dell’opposizione, dobbiamo costruire in fretta una proposta politica credibile, nelle idee, nella coerenza dei comportamenti, nelle persone.

Molto del prossimo futuro dipenderà da dove ci porterà questa discussione e da quanto tempo ci metteremo a chiuderla, e a ripartire.
Anche perché:
- non è detto che Centrodestra e Movimento 5 Stelle faranno un accordo di governo;
- non è detto che se lo faranno falliranno in breve tempo;
- non è detto che se falliranno ad avvantaggiarsene sarà il PD.

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