In questi giorni i ragazzi del 1999 sono impegnati con l’esame di maturità. Cent’anni fa, in questi stessi giorni, i ragazzi del 1899 prendevano parte alla Battaglia del Solstizio, l’eroica difesa della linea del Piave che costruì le condizioni per la vittoria della prima guerra mondiale, che sarebbe arrivata cinque mesi dopo.
Il mito del Piave si è nutrito di molta retorica nel dopoguerra, ma aveva il pregio di fondarsi su un elemento psicologico facile da comprendere: esiste un limite invalicabile, perduto il quale una nazione e un popolo perdono non solo metri di sovranità ma perfino la propria identità.
Era vero? Forse no. Ma il mito del fiume sacro è certamente servito a dare morale alle truppe e a una nazione sconfitti a Caporetto. “O il Piave o tutti accoppati!” si diceva nelle trincee.
So di fare ricorso a una metafora ardita, ma il popolo di sinistra che ripiega male in arnese discendendo le valli dell’Isonzo oggi farebbe bene a difendere il suo fiume sacro: quello dell’uguaglianza, della solidarietà e della libertà contro la retorica dell’odio. E a costruire su quella difesa le condizioni per una futura vittoria.
Davanti alla ripetuta e sprezzante violazione dei diritti umani, alla quotidiana discriminazione razziale, alle minacce da dittatorello sudamericano rivolte a chi solleva dissenso, oggi non possiamo permetterci nessun passo indietro, anche a costo di perdere consenso.
L’egemonia costruita dalle destre sulla pelle di chi ha sofferto la crisi, la luna di miele con il Paese, i sondaggi che sembrano premiare la crudeltà, possono indurre a pensare che sia meglio mediare, che sia meglio sedersi al tavolo del senso comune.
Sarebbe un errore tragico. Bisogna invece capovolgere quel tavolo, e costruire un’alternativa inclusiva, europeista e solidale, perché le difficoltà del Paese non si risolvono aizzando i penultimi contro gli ultimi, e perché abbiamo bisogno anche degli ultimi per realizzare un’Italia migliore.
Sarà una fatica improba, da sopportare al buio sotto le continue sparate dei sovranisti e lo scherno dei commentatori di corte.
Ma difendere quella linea, per costruire un Paese più giusto, è qualcosa per cui vale la pena combattere, per cui ha senso fare ancora politica in Italia, nel 2018, cent’anni dopo la battaglia del solstizio.
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